
Il confine tra il bisogno di alleviare la sofferenza e l’uso clinicamente appropriato di farmaci psicotropi può diventare sfumato, soprattutto nei contesti in cui il dolore fisico o emotivo è persistente e debilitante. In molti casi, il ricorso a sostanze ad azione sul sistema nervoso centrale nasce da un’esigenza legittima di gestione del dolore, ma può evolvere in un uso problematico quando la dipendenza fisiologica e psicologica prende il sopravvento. La difficoltà nel distinguere tra uso terapeutico e uso disfunzionale evidenzia la vulnerabilità delle persone esposte a condizioni di sofferenza cronica e la necessità di un monitoraggio clinico attento.
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La miniserie “Painkiller”, prodotta da Netflix, affronta con lucidità e impatto narrativo questo delicato argomento. Creata da Micah Fitzerman-Blue e Noah Harpster e diretta da Peter Berg, la serie si ispira a due importanti opere di giornalismo investigativo: l’articolo del New Yorker “The Family That Built an Empire of Pain” di Patrick Radden Keefe e il libro Pain Killer di Barry Meier. Entrambe raccontano il ruolo centrale della famiglia Sackler e dell’industria farmaceutica nella diffusione degli oppiacei negli Stati Uniti, tracciando un inquietante parallelo tra scelte industriali e crisi sanitaria globale.
La dipendenza da oppiacei non è solo la conseguenza di un comportamento autodistruttivo, può essere il risultato di prescrizioni eccessivamente prolungate.
In questo articolo affronteremo il delicato tema della dipendenza da farmaci oppiacei e, facendo riferimento al caso americano, parleremo di cosa succede davvero sul piano fisico ed emotivo e come uscirne.
La crisi americana degli oppiacei
Negli ultimi vent’anni, gli Stati Uniti hanno affrontato una delle più gravi crisi sanitarie della loro storia moderna: l’epidemia da oppiacei. Secondo i dati del Centers for Disease Control and Prevention (CDC), solo nel 2021 si sono registrate oltre 80.000 morti per overdose legate a oppiacei sintetici, in particolare il Fentanyl. Si tratta di una tragedia sociale che affonda le radici nella diffusione massiccia, e spesso non giustificata, di farmaci antidolorifici a base di oppiacei.
Originariamente concepiti per trattamenti a breve termine in pazienti oncologici o con dolore cronico grave, i cosiddetti “painkillers” sono stati prescritti nel tempo con crescente leggerezza anche per disturbi meno gravi. La promessa di una vita senza dolore, sostenuta da campagne di marketing aggressive e da una narrazione fuorviante sull’assenza di rischi di dipendenza, ha portato a una medicalizzazione del disagio che si è rivelata devastante.
La crisi americana da oppioidi non nasce, dunque, da comportamenti devianti o esclusivamente illeciti, ma anche da un sistema che ha progressivamente abbattuto le barriere di prudenza nella prescrizione. Pazienti in buona fede, medici spesso mal informati e case farmaceutiche con interessi enormi: un insieme di fattori che ha generato un meccanismo perverso, dove la cura è diventata causa della malattia.
La mini serie Netflix “Painkiller”
In questo contesto si inserisce la miniserie Netflix Painkiller, che ha riportato al centro dell’attenzione pubblica il dramma collettivo degli oppiacei, dando voce ai numeri delle statistiche. Con un linguaggio narrativo potente e accessibile, la serie esplora le origini della crisi, concentrandosi sul ruolo della Purdue Pharma e della famiglia Sackler, artefici della diffusione capillare dell’OxyContin.
Attraverso la storia di personaggi fittizi ispirati a testimonianze reali – tra cui pazienti, venditori farmaceutici e agenti federali – Painkiller mostra come la ricerca spasmodica di profitto abbia avuto effetti distruttivi sulla vita di milioni di persone.
Che cos’è l’Oxycontin
L’OxyContin è un farmaco analgesico a base di ossicodone cloridrato, un oppioide semisintetico derivato dalla tebaina. È progettato per il trattamento del dolore severo, con una formulazione a rilascio prolungato che consente un’efficacia fino a 12 ore. L’uso improprio dell’OxyContin, come la frantumazione delle compresse per l’inalazione o l’iniezione, può alterare il profilo di rilascio del farmaco, portando a un’assunzione rapida e potenzialmente pericolosa dell’ossicodone, aumentando il rischio di effetti avversi gravi, inclusa la depressione respiratoria.
Altri farmaci oppiacei
Esiste un’intera classe di medicinali oppiacei con proprietà analgesiche potenti ma anche con un elevato potenziale di dipendenza. Tra i più prescritti e noti troviamo:
- Morfina – utilizzata da decenni per il trattamento del dolore severo, in particolare in ambito oncologico o post-operatorio.
- Codeina – spesso impiegata in associazione ad altri farmaci per il trattamento di dolori lievi o moderati, ma non priva di rischi.
- Tramadolo – un oppiaceo atipico considerato “minore” ma comunque dotato di potenziale di abuso, soprattutto in trattamenti prolungati.
- Oxymorfone, Idrocodone, Meperidina – oppiacei sintetici o semisintetici, talvolta usati in ambito ospedaliero o specialistico.
Anche se ciascuno di questi farmaci può avere un’indicazione terapeutica valida, il rischio sorge quando il loro impiego viene esteso nel tempo o utilizzato in dosi non controllate, spesso per affrontare non solo il dolore fisico ma anche sofferenze di natura emotiva o esistenziale.

Il caso del Fentanyl, cento volte più potente della morfina
Tra tutti gli oppioidi, il Fentanyl rappresenta oggi una delle principali minacce sanitarie a livello globale. Si tratta di un analgesico sintetico estremamente potente: circa 50-100 volte più forte della morfina e 30-50 volte più potente dell’eroina. In ambito medico, viene utilizzato per il trattamento del dolore acuto o cronico in pazienti gravemente malati, ad esempio in oncologia o terapia intensiva.
Il problema sorge quando il Fentanyl esce dai contesti ospedalieri controllati. La sua versione illegale viene tagliata con altre sostanze e venduta sul mercato nero, a volte senza che il consumatore sappia realmente cosa sta assumendo. Una quantità minima, anche inferiore a 2 milligrammi, può risultare letale.
Secondo il National Institute on Drug Abuse (NIDA), il Fentanyl è oggi la principale causa di overdose negli Stati Uniti.
Perché il Fentanyl è così pericoloso?
- Ha una potenza estremamente elevata in rapporto alla dose.
- Viene spesso assunto inconsapevolmente, tagliato in altre droghe.
- Agisce molto rapidamente sul sistema nervoso centrale.
- La finestra terapeutica è strettissima: tra dose efficace e dose letale c’è un margine ridottissimo.
- La tolleranza si sviluppa velocemente, spingendo a dosi sempre maggiori.
Gli oppiacei modificano il cervello
I farmaci oppiacei intervengono direttamente sulla biochimica cerebrale, agendo sulla percezione, sulle emozioni e perfino sulla struttura stessa del cervello.
Come gli oppiacei agiscono sui recettori neurali
Il cervello umano contiene recettori specifici, chiamati recettori oppioidi, localizzati in diverse aree coinvolte nella percezione del dolore, nel controllo delle emozioni e nel sistema della ricompensa. I tre principali tipi sono:
- Recettori μ (mu): principali responsabili degli effetti analgesici e del senso di euforia.
- Recettori δ (delta): implicati nella regolazione dell’umore e nell’analgesia.
- Recettori κ (kappa): coinvolti nella disforia e nella percezione del dolore.
Gli oppioidi si legano principalmente ai recettori μ, stimolando il rilascio di dopamina nel sistema mesolimbico, la “centralina” del piacere e della ricompensa. Questo effetto è analogo – in intensità ma non in modalità – a quello di droghe come la cocaina o l’eroina.
Con l’uso ripetuto, il cervello si adatta riducendo la sensibilità dei recettori e richiedendo dosi sempre maggiori per ottenere lo stesso effetto. Questo è il processo alla base delle condizioni di tolleranza e assuefazione.
Quali pensieri e stati emotivi accompagnano le fasi di assunzione e astinenza
Chi assume oppiacei, anche su prescrizione, spesso descrive un duplice vissuto emotivo: da un lato il sollievo e la calma durante l’effetto del farmaco, dall’altro l’ansia e il panico nel momento in cui l’effetto svanisce. Questo alternarsi di euforia e crisi psicofisica crea una condizione di profondo squilibrio emotivo.
Durante l’assunzione, i pensieri tendono a essere caratterizzati da:
- Senso di pace e benessere artificiale.
- Sospensione del dolore, anche emotivo.
- Euforia leggera o intensa (a seconda della dose e della modalità di assunzione).
- Percezione di controllo, lucidità, serenità.
Durante l’astinenza, il quadro cambia radicalmente:
- Pensieri ossessivi verso la sostanza (“Devo prenderla subito”).
- Disforia, ansia, attacchi di panico.
- Dolori diffusi, crampi, brividi, tremori.
- Umore depresso, disperazione, insonnia, irritabilità.
- In alcuni casi: ideazione suicidaria o comportamenti autolesionistici.
L’astinenza da oppioidi è fisicamente devastante e psicologicamente intensa. I sintomi possono iniziare già dopo 6-12 ore dall’ultima dose e raggiungere il picco entro 48-72 ore. La paura di affrontare questi sintomi, unita all’adattamento neurobiologico, spinge molti individui a rinnovare l’assunzione, alimentando il ciclo della dipendenza.
L’esperienza del team Gallimberti, una via di uscita
Affrontare la dipendenza da oppiacei richiede competenza, tempestività e un approccio che superi il semplice controllo farmacologico dei sintomi. La storia raccontata in Painkiller su Netflix è un monito reale: la dipendenza non è solo una questione di abuso volontario, ma può nascere all’interno di percorsi medici inizialmente legittimi. E quando la dipendenza si instaura, uscire da quella spirale può sembrare impossibile senza un supporto esperto.
Il team del Dott. Luigi Gallimberti lavora da anni sul campo della dipendenza da oppiacei, intervenendo su diversi livelli:
- Dinsintossicazione farmacologica controllata,
- Valutazione iniziale approfondita: Supporto psicologico.
Ma ciò che contraddistingue in modo innovativo l’intervento del team Gallimberti è l’impiego della Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), una tecnica di neuromodulazione non invasiva che agisce direttamente sull’attività elettrica cerebrale alterata dalla dipendenza. Scopri di più all’interno del blog e del sito.